Immagina per un istante di essere in piedi di fronte a migliaia persone: gli uomini e le donne più potenti, ricchi e influenti della tua città, della tua regione persino.
Prendi un respiro profondo e ti prepari a parlare nel momento più importante della tua vita, consapevole di star riscrivendo con le tue mani e con la tua mente la storia stessa.
Alle tue spalle, quando non stai guardando, quelle stesse persone intorno a te ti giudicano. Alcune ti sostengono, è vero, ma molte, forse la maggior parte ti deridono, ti sminuiscono, quando va bene. Quando va male invece, considerano te e quello che rappresenti un insulto, una vergogna, un pericolo persino.
Il tuo corpo è fragile, scosso, sei appena uscita da una delle tante febbri che rendono la tua vita una lotta continua. Ma la tua volontà è impossibile da scalfire, la tua fede è assoluta, la tua conoscenza è infinita. Non c’è niente che potrebbe impedirti di ottenere quello per cui hai lottato così duramente e per così tanto tempo.
E cominci la tua discussione.
Immagina che cosa deve aver provato Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, in piedi nella cattedrale di Padova, mentre per prima nella storia, donna, riceveva una laurea.
È davvero impossibile misurare con precisione l’importanza di eventi e di figure straordinarie come questa, capire che cosa abbiano significato e quanto abbiano inciso davvero, e la verità è che la questione delle infinite battaglie femminili, non ancora terminate, per veder riconosciuta finalmente la piena parità di genere è troppo complessa, troppo difficile per poterla esaurire in un articolo come questo.
Tutto ciò che possiamo fare è raccontare e ascoltare la storia di una donna che ha trasceso il tempo, gli stereotipi, le ingiustizie. E lo ha fatto con la sua cultura, la sua intelligenza, il suo studio.
Oggi vi racconto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna a laurearsi.

Oh, a proposito, giusto una precisazione: ci sono alcune controversie sull’attribuzione del titolo di “prima donna laureata della storia”, a contendersi il primato ci sono Isabella Losa, Costanza Calenda, Juliana Morell e Bettisia Gozzadini, altre figure straordinarie che sicuramente raggiunsero degli alti livelli accademici, ma è difficile essere precisi coi titoli e le date.
In ogni caso, con Elena, stiamo parlando della seconda metà del 1600. È un secolo complicato: c’è stata tutta la questione della controriforma e il sogno dell’egemonia cattolica in Europa è ormai naufragato sotto l’espansione del protestantesimo.
Sul trono di Francia è seduto il Re Sole, Luigi XIV, In Inghilterra siamo in piena guerra civile e ci sono gli ultimi strascichi di quella serie infinita di conflitti che gli storici chiameranno poi “Guerra dei Trent’anni”.
In giro per l’Italia ci sono state sommosse, lo Stato Pontificio non è poi tanto forte e stabile, gli Spagnoli dominano pezzi della penisola, in Toscana ci sono i Medici e via così… In tutto questo casino la Repubblica di Venezia rimane uno stato libero e indipendente, un luogo unico, speciale, che ospita pensatori, filosofi, artisti.
Ed è proprio a Venezia, d’estate, il 5 giugno del 1646, che nasce Elena. È una bambina gracilina, ma sveglia, la quinta di sette figli del nobile Giovanni Battista Cornaro Piscopia e di una donna di umili origini.
Giovanni è un uomo colto, influente, progressista, controcorrente persino. Dopo aver convissuto per anni si sposa con Zanetta Boni, la sua compagna di una vita, nonostante sia una popolana, fa riconoscere tutti i figli fin dalla nascita e spende oltre 100 mila ducati per farli elevare a patrizi. È un mecenate e a casa sua si ritrovano scienziati, letterati, eruditi.
A quell’epoca le donne nobili se ne stavano a casa a fare faccende, a pregare, a giocare alle damigelle e a pensare al momento del matrimonio, ma il padre e la madre di Elena se ne fregano delle consuetudini del loro tempo, riconoscono nella propria figlia una scintilla di curiosità, di passione e intelligenza e decidono che quel piccolo fuoco va alimentato, non soffocato.
Un po’ anche per vantarsi e dare lustro al nome della famiglia, non ce lo nascondiamo: I Cornaro erano antichi, prestigiosi, ricchissimi, ma ormai da secoli estromessi dalle cariche più influenti della Serenissima e un po’ messi in disparte.

GLI STUDI
Gli studi classici sembrano perfetti, il padre è disposto a procurarle i migliori maestri che si possano ottenere ed Elena quindi viene affidata a Giovanni Battista Fabris, un latinista. E impara il latino alla perfezione.
Poi è la volta di Alvise Gradenigo, il miglior grecista in circolazione. Ed Elena impara il greco antico alla perfezione.
Poi tocca a Shemuel Aboaf, un rabbino. E indovina un po’? Elena impara l’ebraico alla perfezione.
No, non è finita, perché poi impara alla perfezione anche il francese e lo spagnolo, qualcosa anche di arabo e aramaico e, sotto il gesuita Carlo Maurizio Vota approfondisce la matematica e l’astronomia Galileiana.
E sarebbe già abbastanza, se non fosse che Elena è inarrestabile, e studia anche geografia, per poi innamorarsi della filosofia e della teologia. È ingegnosa, rapida, capace di calcoli complessi a mente e dimostra una memoria notevole.
Nel tempo libero, Elena scrive poesie, suona giusto un paio di strumenti musicali: il clavicembalo, il clavicordo, l’arpa e il violino. Ah, e canta.
È anche una fervente devota, a soli 11 anni fa voto di castità e diventa suora laica dell’ordine di San Benedetto. Ecco, di questo sembra che i suoi genitori non fossero contentissimi, probabilmente avrebbero voluto per Elena un marito ricco, nobile e potente. Progressisti sì, ma sempre del 1600…
LA FAMA
Dal 1669 viene accolta dalle principali accademie dell’epoca, come l’Accademia dei Ricoverati di Padova, degli Intronati di Siena, degli Infecondi di Roma, degli Erranti di Brescia, dei Dodonei e dei Pacifici di Venezia e si fa un nome. I più grandi studiosi, religiosi, scienziati e letterati d’Italia e dell’Europa intera la conoscono e ne rimangono impressionati.
E qui, ancora una volta, l’ombra del sessismo adombra la grandezza di Elena che comincia a venire esibita, interpellata e messa alla prova quasi come fosse un’attrazione, uno scherzo della natura, una creatura aliena e singolare da ammirare, certo, ma con un certo paternalismo e una certa sufficienza.
Elena ne soffre tantissimo: è una donna schiva, solitaria, riflessiva e detesta sfoggiare inutilmente la sua erudizione nei salotti davanti a mezza Europa. Eppure, continua a farlo, a mostrarsi socievole e aperta alla discussione. Vuole compiacere suo padre, soprattutto, forse persino ringraziarlo per essere sempre stato dalla sua parte.
Carlo Rinaldini la incontra nella biblioteca Cornaro e racconta il loro incontro così:
«Quivi mentre sfogliavo le opere di Archimede, che stavano sul tavolo, m’imbattei nel teorema dell’applicazione di una retta tirata tra la circonferenza e il diametro [d’una sfera]. Quand’ecco apparire in biblioteca una giovane, bellissima in volto, ben proporzionata nelle membra, di colorito delicato, con il capo maestoso, dignitosa nel tratto, e cominciò a parlare su quel teorema. Restai stupefatto tanto che mi mancò la parola, […]»
Trascorre così, immersa nei suoi studi, nella musica e nella preghiera la maggior parte della sua vita. È ossessionata dalla conoscenza al punto da minare la sua stessa salute per i ritmi incessanti e le privazioni ascetiche che si impone.
LA LAUREA
Finché non accade: nel 1677, dopo che Elena ha sostenuto una disputa pubblica di filosofia in greco e latino, ancora una volta suo padre si fa avanti e chiede, pretende persino che alla figlia venga assegnata il più alto riconoscimento per uno studioso dell’epoca: la laurea.
Elena sogna di laurearsi in teologia, la materia delle tante che domina in cui si identifica di più, forse proprio per la sua fede cattolica, e con il padre e la sua schiera di sostenitori al fianco si fa avanti.
Le risponde il vescovo di Padova, il cardinale Gregorio Barbarigo, consigliere del papa Innocenzo XI, cancelliere dell’Università col potere di autorizzare, o negare, una laurea.
Me lo immagino seduto su uno scranno intarsiato, avvolto in abiti sontuosi, magari con sulla testa il suo copricapo rosso da cardinale. mentre pronuncia queste esatte parole:
“E’ uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo.”
Elena non molla, suo padre neppure, danno fondo ad ogni goccia di influenza e di potere negoziale accumulato e arrivano ad un compromesso: ad Elena verrà permesso di sostenere la sua dissertazione e potrà laurearsi. Non in teologia, come avrebbe voluto, ma in filosofia. Non le sarà concesso invece di insegnare. Perché donna, naturalmente.
Alle ore 9 di mattina di sabato 25 giugno del 1678, a 32 anni e 20 giorni dalla sua nascita, d’estate, dopo aver discusso due tesi su Aristotele, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia riceve nelle sue mani, come i suoi pari uomini, il libro, simbolo della dottrina, l’anello, che rappresenta le nozze con la scienza, il manto di ermellino, che indica la dignità dottorale e la corono d’alloro, il segno del trionfo.
Sul verbale di discussione, in latino, viene proclamata “magistra (al femminile) et doctrix philosophiae.”

La cerimonia viene celebrata nella cappella della beata Vergine del Duomo di Padova, che è gremita di nobili e personaggi importanti accorsi ad assistere a questo evento epocale.
Ci sono cori e musica, un lungo corteo e festa ovunque, gente che spinge per vederla, altri che la additano, altri ancora che la contestano.
Giovanni Palazzi, nel descrivere l’avvenimento qualche anno più tardi scriverà:
“Vinti e più mille persone comparvero nel Domo di Padoa, non senza pericolo di tumulto.”

GLI ULTIMI ANNI
Due settimane dopo Elena viene aggregata al Collegio dei filosofi e medici dell’Università, il 15 luglio partecipa alla seduta solenne organizzata dall’Accademia dei Ricoverati di Padova e celebra ancora una volta la sua laurea, dopo la quale la sua fama continua a crescere e supera ogni confine geografico. Quello stesso anno Elena fa da esaminatrice per un’altra laurea in filosofia.
L’anno successivo si trasferisce definitivamente da Venezia a Padova, per dedicarsi alle sue ricerche, ma anche ad opere di pietà e beneficienza. Vive a Palazzo Cornaro, un luogo sfarzoso fatto costruire dal suo trisnonno, Alvise Cornaro, ma è sempre più debole, sempre più malata. Passa gran parte del tempo a letto, con i suoi libri.
Nonostante tutto, non vuole fermarsi. Non può fermarsi. Continua a studiare.
Solo sei anni più tardi, il 26 luglio 1684, ancora una volta in piena estate, Elena, contratta forse la tubercolosi, muore di cancrena. Aveva 38 anni.
L’IMMORTALITA’
La sua scomparsa colpisce come uno schiaffo il mondo degli intellettuali del tempo: al suo funerale, il feretro viene coperto dal suo abito da suora laica e dalla sua mantella d’ermellino, la veste dottorale, con in testa due corone: una corona di gigli a simboleggiare la sua verginità e castità, l’altra di alloro, per ricordare la sua grandezza.
Viene sepolta nella chiesa di Santa Giustina, a Padova.

Sembra che Elena, poco prima di morire, abbia disposto di distruggere tutti i suoi manoscritti, le sue carte, i suoi lavori, le sue poesie. Forse l’estremo tentativo di portare con sé ciò a cui aveva consacrato la sua intera esistenza. Forse un improvviso senso di inadeguatezza, forse una beffa, forse il delirio di qualcuno divorato dalla malattia.
La grandezza, la libertà, la caparbietà di Elena, purtroppo, non bastarono a spazzare via gli stereotipi sulle donne e la loro formazione. Il mondo era ancora troppo indietro, troppo arretrato, troppo stupido. Dovettero passare quasi 100 anni per vedere un’altra donna laureata in Italia: Laura Bassi, una fisica di Bologna.
Solo pochi mesi dopo quello stesso giugno del 1678 un’altra donna, Carla Gabriella Patin, tentò di ottenere allo stesso modo la laurea in filosofia, ma fu respinta sia dall’Università che dal Vescovo.
Anche il padre di Elena si oppose pubblicamente, temendo di perdere l’onore e il prestigio ottenuto con il primato della figlia. L’onore e il prestigio, forse le uniche debolezze di un uomo altrimenti illuminato, per la sua epoca.
Elena non ha cambiato il mondo allora, forse non ci ha neanche mai pensato: ha lottato e studiato per sé stessa e per nessun altro, ma nel farlo è divenuta comunque un simbolo immortale, un esempio, un’ispirazione.
Tra il 1684 e il 1689 il padre fece erigere un grandioso monumento a Elena nella basilica del Santo, sempre a Padova, di cui purtroppo non rimane traccia.
Nel 1773 Caterina Dolfin donò all’Ateneo padovano la statua raffigurante Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, che ora è posta ai piedi dello scalone Cornaro, nel Cortile Antico di Palazzo Bo, la sede storica dell’Università.

Le sono state dedicate strade, biblioteche, scuole, piazze, un doodle di Google, e forse l’omaggio più bello è stato dare il suo nome a un cratere dal diametro di 26 chilometri su Venere. Elena è arrivata persino su un altro mondo.
Io non lo so come si sia sentita Elena quel giorno, davanti a tutta quella gente, mentre veniva chiamata maestra, lei per prima, mentre persino chi l’aveva derisa e insultata era costretto ad applaudire, quando ha potuto finalmente toccare con mano il frutto di una passione, di un’ossessione per la quale si è consumata.
Mi piace pensare che non fosse a suo agio, riservata com’era, ma che sia riuscita comunque a rimanere composta, sicura, con lo sguardo di chi ha deciso che qui, su questa Terra, tutto ciò che conta è lo studio, l’intelletto, la cultura, la scienza…
Non certo il genere o il sesso.
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