Le tecniche di memoria, o mnemotecniche, che dir si voglia, sono nell’occhio del ciclone ogni qualvolta si parla di apprendimento efficace o metodo di studio. Funzionano? Non funzionano? A cosa servono e, soprattutto, qual è il loro ruolo in un vero metodo di studio?
È ora di parlarne.
Spesso le si chiama in causa quando vogliamo fissare nella mente un’informazione precisa ed evitare di dimenticarla proprio nel momento del bisogno, come durante una verifica o un esame. E per questo abbiamo finito per credere che le mnemotecniche siano una sorta di bacchetta magica capace di cambiare le sorti delle nostre performance a scuola o all’università.
Il fatto è che, da sole, le tecniche di memoria non bastano per aiutarci nello studio: innanzitutto dobbiamo ricordarci che si tratta di metodi pensati per memorizzare dettagli e non per sostituire un intero metodo di studio. La seconda cosa da fare è avere pazienza: le mnemotecniche sono uno strumento potente, ma bisogna assicurarsi di averle realmente capite e imparate nel modo corretto, prima di applicarle. È facilissimo fraintendere alcuni principi e metterli in pratica in modo sommario.
Mai sentito parlare di loro come di “tecniche per migliorare la memoria”? Ecco, siamo totalmente fuori strada.
Per questo è importante conoscerle in modo più dettagliato e comprendere le loro vere potenzialità.

COSA SONO LE MNEMOTECNICHE
Prima di tutto, le basi: le mnemotecniche sono strategie cognitive che hanno lo scopo di facilitare il deposito, il consolidamento e il recupero di un’informazione. In particolare, ci aiutano con informazioni che normalmente richiederebbero molto sforzo per essere interiorizzate, perché troppo lunghe, complesse o astratte.
Non tutte le informazioni, infatti, sono uguali e non tutte vengono percepite dalla nostra memoria come qualcosa di importante. In sostanza, il nostro cervello seleziona solo ciò che gli sembra fondamentale, mentre per tutto il resto ci richiede una fatica enorme. Proprio qui entrano in gioco le strategie di memorizzazione.
Il ruolo delle mnemotecniche è aiutarci a rendere le informazioni più memorabili. Letteralmente.
Prima di capire come funzionano, perché e cosa dice la scienza sul tema, però, togliamoci qualche curiosità.
BREVE STORIA DELLE MNEMOTECNICHE
Le tecniche di memoria sono antiche quanto la necessità di ricordare e nascono probabilmente da necessità legate alla trasmissione orale della cultura. Tenere a mente interi poemi era una questione di vita o di morte per cantori e poeti, e qualcosa dovevano pur inventarsela, no?
Sembra che le primissime tecniche di memorizzazione siano nate in India, in Cina e in ogni luogo dove una civiltà abbia sviluppato forti tradizioni orali. Le mnemotecniche che conosciamo e utilizziamo oggi, però, così precise e sistematiche, hanno fatto il loro debutto nella Grecia Antica.
Il primo “memorizzatore” di cui abbiamo traccia è un certo Simonide di Ceo, del quinto secolo a.C. (pensateci, 2500 anni fa), che si racconta ricordasse la disposizione di tutti gli invitati ad un banchetto. Peccato che poi abbia dovuto usare la sua memoria per un compito triste: riconoscere i corpi sotto le macerie dopo un terribile crollo del palazzo.
Ovviamente parlano della potenza delle arti mnemoniche anche Aristotele e Platone, ma è poi coi romani che si fa un salto in avanti.
Nella Rhetorica Ad Herennium, il trattato di “public speaking” più influente della storia, attribuito a Cicerone, troviamo la prima spiegazione dettagliata di come usare la tecnica dei Loci per ricordare i punti chiave di un discorso.
Insomma, in età romana le tecniche di memoria spopolano, ma col crollo dell’impero e l’arrivo del medioevo vengono spazzate via.
Qualche sprazzo di interesse nell’argomento ce l’ha Tommaso D’Aquino nel tredicesimo secolo, ma è con l’Umanesimo e il Rinascimento che le tecniche di memoria vengono riscoperte. Con personaggi come Ignazio di Loyola, Pico della Mirandola, Giordano Bruno.
Proseguendo verso l’era moderna, troviamo una serie di figure di spicco per l’arte della memoria: da Pierre Herigone, padre della conversione fonetica, a Harry Lorayne, Dominic O’Brien, Tony Buzan ai giorni nostri, arrivando a campioni contemporanei come Ben Pridmore.
Abbiamo fatto un bel viaggio nella storia. Ora è il momento di andare al cuore della questione.

COME FUNZIONANO LE TECNICHE DI MEMORIZZAZIONE
Ci sono moltissime mnemotecniche diverse ma, volendo semplificare, le più efficaci si basano più o meno tutte sullo stesso principio di fondo, ovvero: trasformare le informazioni in qualcosa di più semplice da assimilare.
Gli step alla base delle tecniche di memoria sono sostanzialmente 5:
1) Applicare la tecnica del chunking, ovvero dividere ciò che vogliamo memorizzare in gruppi di informazioni più piccoli e più gestibili.
2) Creare rappresentazioni mentali. Si tratta di una sorta di sogno a occhi aperti (o chiusi, se preferite), un’immaginazione, una fantasticheria, insomma. Come quando siamo sui mezzi pubblici mentre andiamo al lavoro, all’università o a scuola e immaginiamo invece di essere in spiaggia a Ibiza. La rappresentazione deve essere concreta, realistica. Dobbiamo riuscire a sfruttare immagini, luoghi e contesti che provengono dalla nostra vita.
3) Attribuire a queste rappresentazioni alcune caratteristiche che le rendano così particolari da suscitare in noi un’emozione: assurdità, paradosso, movimento, dettagli che le rendano estremamente vivide.
4) Legare queste immagini tra loro creando una “storia”, un film mentale, in cui ogni azione porta all’altra in ordine sequenziale. Queste storie possono essere lunghissime o brevi, a seconda del tipo di tecnica che stiamo impiegando, e si possono ambientare in luoghi che conosciamo bene, come si fa con la famosa tecnica dei loci (o palazzo della memoria, di cui il campione del mondo Andrea Muzii è il master assoluto).
5) Visualizzare la storia e viverla il più possibile in modo intenso, imbrogliando un po’ la mente a credere che stia accadendo davvero. Questo step è fondamentale: se vi limitate a “strutturare” la storia, ma non vi sentite protagonisti e non cercate di immedesimarvi nella situazione (per quanto assurda e paradossale), la tecnica perderà di efficacia.
Se ambientiamo queste storie e creiamo associazioni all’interno delle stanze di casa nostra o in luoghi che conosciamo, costruiremo un palazzo della memoria, una delle mnemotecniche più famose. Ed è molto, molto utile per imparare le poesie.
Vi sarà capitato, almeno una volta durante la vostra carriera scolastica, di dover imparare a memoria la poesia di Natale o il primo canto dell’Inferno di Dante Alighieri. Usando il palazzo della memoria e individuando le singole parole chiave che ci permettono di ricostruire il flusso della poesia, il lavoro diventa davvero molto semplice.
Tutto qui: il meccanismo in teoria è semplice, ma per usare efficacemente le mnemotecniche c’è bisogno di comprendere bene tutte le sfumature, i diversi campi di utilizzo, i dettagli e, soprattutto… bisogna ammazzarsi di esercizio.
PERCHÉ LE MNEMOTECNICHE FUNZIONANO?
I motivi per cui queste strategie cognitive possono effettivamente darci una mano nella memorizzazione di date, tecnicismi, sequenze e altre nozioni simili sono principalmente 4:
- Si collegano a elementi che già conosciamo e che già abbiamo depositato a lungo termine nella nostra memoria, creando associazioni e “ponti” tra le vecchie e le nuove conoscenze.
- Grazie allo stratagemma narrativo, creano una struttura di recupero che agisce come un’impalcatura e permette di recuperare rapidamente l’intera sequenza.
- Pur in modo simulato, stimolano i nostri sensi e trasformano l’apprendimento in un’esperienza concreta, quasi fisica, e per questo più rilevante per la nostra mente.
- Ci emozionano: fanno ridere, sono stupide, curiose, paurose, schifose, ma le storie create con questo procedimento non ci possono lasciare indifferenti. L’emozione stimola un ricordo più forte.
IL RUOLO DELLE TECNICHE DI MEMORIA NELLO STUDIO
A questo punto siamo arrivati alla domanda delle domande: “ma le mnemotecniche migliorano la memoria nello studio?” Come scrivevo in apertura di articolo, le mnemotecniche sono al centro delle proposte quando si parla di apprendimento veloce.
Esistono svariati “corsi di memoria” che trasformano queste strategie in un metodo di studio fatto e finito, che non prevede tutte le fasi fondamentali per un apprendimento efficace.
Una trappola colossale in cui bisogna stare attenti a non cadere. Innanzitutto, per essere utilizzate correttamente, le mnemotecniche richiedono un bell’allenamento. Scordiamoci di imparare ad applicarle nel giro di dieci minuti. In più, le mnemotecniche non hanno nulla a che fare con la comprensione. E, dato che il 90% dello studio è composto da concetti che vanno compresi, rielaborati e poi fatti propri ed espressi, in quel 90% dei casi le mnemotecniche non sono lo strumento più adatto.
E quindi? Le eliminiamo? Spazziamo via tutto e salutiamo caramente i greci, i rinascimentali e Cicerone? Per niente. Il punto è dare alle tecniche di memoria lo spazio che meritano all’interno del metodo di studio. Le mnemotecniche diventano fondamentali quando si parla di memorizzare dettagli tecnici che non hanno nulla di “concettuale”, ma che devono solo essere ricordati per quello che sono. Parliamo di articoli di codice, date, vocaboli, nomi astrusi quando si studia anatomia, paroloni scientifici impronunciabili, elenchi, algoritmi, la sequenza del vostro discorso di laurea… Dove c’è da tenere a mente qualcosa che non prevede un ragionamento, dove c’è una mole enorme di dati, possiamo lasciare campo libero alla memorizzazione. In questo caso, le tecniche di memoria diventano una freccia potente e appuntita nella faretra dello studente efficace.
Una sola freccia, però, non l’intera faretra.
GIOCHI PER MIGLIORARE LA MEMORIA: CHE COSA DICE LA SCIENZA
Come per ogni pratica intensa e impegnativa, anche per le mnemotecniche c’è chi si è ingegnato nel tentativo di “aggirare il problema”. Vi è mai capitato di imbattervi in giochi e applicazioni che promettono di allenare e migliorare la memoria? Ecco, secondo la scienza si tratta di promesse senza capo né coda. Infatti, non esistono evidenze che confermino l’utilità di questi “esercizi” che ricadono sotto la categoria dei brain games. Si tratta di attività sicuramente stimolanti per il cervello, ma che non agiscono in nessun modo sulla nostra vita quotidiana. Giocare a memory sul telefono, in sostanza, non ci eviterà il disastro annunciato di perdere la macchina nel parcheggio del supermercato. Ci aiuterà soltanto a… diventare più bravi con il memory. Di certo, però, questi giochi hanno il vantaggio di farci riflettere sulla nostra disattenzione, sulla mancanza di concentrazione che caratterizza le nostre giornate e che spesso sta alla base delle nostre dimenticanze… e, in più, sono divertenti. Ecco, a questo punto credo di aver fatto un buon quadro della situazione. Anche se è impossibile riassumere davvero “tutto quello che c’è da sapere” sulle mnemotecniche, io ci ho provato. Se vi interessa sapere qualcosa di più sul tema, vi lascio un form per iscrivervi alla newsletter e ricevere contenuti sulla memoria e su come sfruttarla al massimo.
Noi ci ritroviamo nel prossimo approfondimento!