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Adderall: la droga dello studio

E… alla fine ci siamo arrivati. Parliamo di droga. Nello specifico, di smart drugs, sostanze “dopanti” per la mente che dovrebbero potenziare la concentrazione e, soprattutto, migliorare la capacità di apprendimento.  

Ho cominciato a ricevere messaggi e richieste di parlare di questo argomento qualche anno fa, ne ho accennato un paio di volte ma non mi sono mai davvero messo a scrivere un articolo specifico su questo perché… beh… perché un po’ me la facevo sotto, diciamo la verità. È un argomento difficile, il rischio di dire qualche fesseria altissimo, la posta in gioco ancora di più. 

L’altro giorno, però, mi sono imbattuto in statistiche preoccupanti sulla diffusione di questo tipo di sostanze e ho pure visto un paio di video su YouTube che, oltre a descriverne gli effetti, sembravano consigliarle allegramente agli studenti in sessione d’esame. Video con milioni di visualizzazioni.  

E mi sono finalmente convinto: è ora di fare un po’ di chiarezza sulla questione. 

E allora parliamo della più famosa “droga dello studio”, di come funziona, di quali effetti ha, di quanto è pericolosa e, soprattutto, di se dovresti assumerla, oppure starne alla larga. 

COSA È ADDERRALL

Chiariamo subito una cosa prima di buttarci nella mischia: ci sono 4 differenti punti di vista da considerare quando si parla di droghe, di sostanze ecc: 

Il punto di vista legale; 

Il punto di vista morale; 

Il punto di vista scientifico; 

Il punto di vista settoriale del campo di utilizzo; 

Il punto di vista legale è piuttosto semplice: assumere sostanze come quella di cui ti parlerò in questo video senza una prescrizione medica regolare e senza essere affetti da condizioni che ne richiedano l’assunzione è illegale in tutto il mondo.  

È, a tutti gli effetti, la stessa cosa che assumere steroidi anabolizzanti per gonfiare i bicipiti in palestra. Non si può. Punto. Su questo non c’è nulla da discutere. Una cosa in meno su cui perdere minuti preziosi. 

Non ho nessuna voglia né interesse di parlare del punto di vista morale invece. Le mie credenze personali in materia non hanno nulla di particolarmente interessante e credo che alla fine questo ambito sia strettamente personale ed esuli dagli scopi di un video come questo. Piuttosto, fatemi sapere che cosa ne pensate voi. 

Quindi, in questo articolo, mi concentrerò unicamente sui due punti di vista che, a mio modo di vedere, contano davvero: quello scientifico e quello settoriale del campo di utilizzo, nello specifico, in questo caso, il punto di vista dell’efficacia nello studio e nell’apprendimento. 

Ci sono numerose sostanze che rientrano nella categoria delle smart drugs o droghe da studio o come vogliamo chiamarle, ma ce n’è una, in particolare, che è diventata tanto famosa e diffusa da fare categoria a sé: l’Adderall.  

Siccome non mi voglio trasformare in un canale di divulgazione sulla chimica, non vorrei mai rubare il lavoro a Dario Bressanini, mi concentrerò solo su questa sostanza, dovrebbe andare bene visto che assorbe da sola la maggior parte del mercato di questo tipo di droghe. 

L’Adderall è una miscela di sali di anfetamine e se in questo esatto istante stai pensando “ehi, aspetta un momento, ma io questo termine l’ho già sentito, non mi ricordo dove… non era, non era… “  

Sì, era Breaking Bad, in cui il buon Walter White produceva e metteva sul mercato una simpatica sostanza chiamata metanfetamina e ancora sì, i cristalli con cui si sballavano Jesse Pinkman e i suoi sobri amici sono molto simili a quello di cui stiamo parlando, anche se non proprio identici.   

La differenza, nello specifico, è in un gruppo costituito da un atomo di carbonio e 3 di idrogeno, che i chimici chiamano gruppo metile o metilico e che si scrive CH3. Ecco l’anfetamina ne ha solo uno, la metanfetamina ne ha 2. Pochi atomi per passare da nerd maniaco dello studio a…Skinny Pete. Aggiungi un gruppo metilico alla fine di una molecola di anfetamina e SNAP, hai i cristalli di Heisenberg. Ora ti serve solo un camper. 

Comunque, nel mondo milioni di persone fanno uso di anfetamine, per trattamenti medici, per scopi…ehm…ricreativi e anche per prendere voti più alti all’università. E, tra l’altro, non è neanche una novità. 

I primi scienziati a sintetizzarle vissero nella seconda metà dell’800, capofila Lazar Edeleanu, un chimico romeno, mentre I primi medicinali contenenti anfetamine messi in commercio risalgono agli anni 30 del ‘900, il primo in assoluto si chiamava Benzedrina e si usava per trattamenti contro la narcolessia, la pressione bassa, dolori cronici, depressione, obesità e una miriade di altre cose. La gente inalava, si iniettava e ingoiava anfetamine come fossero caramelle. 

Chi ne fece un uso ancora più massiccio e sistematico furono i militari, perché le anfetamine miglioravano il morale delle truppe e riducevano la percezione della fatica, il che non era male quando avevi delle guerre mondiali da combattere. Le usarono gli eserciti americano, inglese, giapponese e tedesco. Gli italiani che io sappia no, non ho trovato nulla al riguardo, ma magari qualcuno più esperto in materia me lo potrà confermare o smentire. 

Usano anfetamine ancora oggi i combattenti dell’Isis, e un altro grande fan delle anfetamine era Adolf Hitler, sì, proprio lui, che si dice se le sparasse in vena ogni giorno, la sua versione si chiamava Pervitin e sembra che anche il generale Rommel, la volpe del deserto, la sfruttasse per saltare notti di sonno e far combattere senza sosta i suoi sottoposti. Bene così. 

Poi, dagli anni ’50, si è cominciato a limitarne l’uso e dagli anni ’70 si è dato un taglio definitivo, ma il piccolo sporco segreto è che si continua ad usarle a livello militare, e anche per dare qualche aiutino a politici, amministratori delegati e personaggi con giornate fitte di impegni. Ti sei mai domandato come facciano i capi di stato a reggere certi ritmi in campagna elettorale o durante crisi di livello nazionale? Ecco, ora lo sai. Anfetamine. 

Questo giusto per darti un’idea del fatto che non si tratta di nulla di così nuovo o misterioso.  

Ad oggi, nel mondo “alla luce del sole”, si impiegano le anfetamine a dosaggi bassi per trattare principalmente il deficit dell’attenzione, il famoso ADHD, ed è proprio per contrastare questa condizione nello specifico che è nato l’Adderall. 

Funziona più o meno così: 

L’Adderall si assume in pillole: Per avere effetto ci mette un’oretta dall’assunzione, agisce sui recettori del sistema nervoso centrale, aumentando l’effetto e la produzione di due neurotrasmettitori prodotti naturalmente dall’organismo: serotonina e dopamina. 

I pazienti con deficit dell’attenzione presentano un rilascio di dopamina disfunzionale (ne producono meno del dovuto) e a causa di questo il loro cervello è alla costante ricerca di stimoli, da lì la fatica a rimanere concentrati più di qualche minuto su qualcosa, l’irrequietezza e via discorrendo. 

Il rilascio di dopamina e serotonina ad opera dell’Adderall compensa questa carenza e ne contrasta quindi le conseguenze. 

Inoltre, l’Adderall ha un secondo effetto davvero interessante: causa il rilascio di un altro neurotramettitore nel cervello, la norepinefrina, che aumenta lo stato di allerta, stimola il sistema nervoso simpatico e lo porta ad uno stato quasi di percezione di pericolo, così da innescare un maggiore afflusso di sangue al cervello stesso e agli organi principali, a discapito di altre aree del corpo, in particolare del sistema digestivo. Ti ho raccontato che si usavano negli anni ’30 le anfetamine anche contro l’obesità, ricordi? Ecco perché: ti fanno passare la fame, in modo alquanto drastico, però funziona.  

A un certo punto, comunque, qualcuno ha pensato: ehi, se funziona tanto bene con chi soffre di deficit dell’attenzione e se lo prendono di nascosto militari, politici, imprenditori e gente del genere, che cosa succede se lo prende uno studente qualsiasi? Non è che magari diventa Einstein? 

La cosa ha preso piede e ora siamo arrivati qui: dal 2007 ad oggi il consumo globale di Adderall è più che raddoppiato, negli stati uniti è diventata una vera e propria mania, specie tra gli studenti delle “top” università private, ma non solo, tanto che c’è chi parla di una percentuale di circa il 30% degli studenti in America che ha provato almeno una volta l’Adderall per motivi di studio.  

E io ricevo decine di messaggi di gente che mi chiede cosa ne penso, se l’ho provato, se lo consiglio.  

E no, non l’ho mai provato, anche se ammetto che sarei curioso di farlo e che un paio di volte ci ho pensato. Ma torna in gioco il punto di vista legale, oltre che quello dei rischi, che vediamo fra un paio di minuti, per cui direi che rimarrà sempre e solo una curiosità. Io passo, grazie, sto bene così. 

Ma funziona davvero per chi studia? Sì e no. Nel senso che, sebbene, siano innegabili i vantaggi in termini di ridotta percezione della stanchezza (che si traduce in più ore passate sui libri) e aumento della focalizzazione, non è poi così evidente un vantaggio in termini di apprendimento e memoria. 

Gli scienziati si sono inventati uno splendido test, veramente infame, per capire se davvero assumere Adderall portava a risultati di studio tanto significativi quanto si sentiva in giro.   

Hanno diviso i loro soggetti in 4 gruppi. Al primo gruppo hanno dato Adderall e glielo hanno detto chiaramente. Al secondo gruppo hanno somministrato invece un placebo, ma sempre dicendo loro che avrebbero ingerito Adderall. Al terzo gruppo hanno dato un placebo ammettendo apertamente che fosse un placebo, al quarto gruppo hanno dato Adderall dicendo che si trattasse di un placebo. Tutte le combinazioni possibili. 

Indovinate un po’, i risultati migliori sono arrivati dai primi 2 gruppi, cioè quelli accomunati dal fatto di sapere (o credere) di stare assumendo la droga, a prescindere da se la stessero assumendo davvero o meno. Sembrerebbe quindi che l’effetto placebo, in questo caso, sia stato più forte dell’effetto della sostanza stessa, quantomeno in termini di risultati di studio. 

Alcuni studi hanno trovato dei miglioramenti in compiti di ripetizione, ma quando si tratta di metodi di studio complessi, operazioni cognitive di livello superiore, comprensione, rielaborazione e compagnia bella… eh, insomma, non è poi così eccezionale a quanto pare. 

E poi ci sono i rischi, e qui le cose si fanno serie: il rilascio costante di serotonina e dopamina nel cervello porta la mente a impigrirsi e, nel tempo, a smettere di produrle quasi completamente (tra l’altro, succede una cosa simile con il testosterone nei bodybuilder dopati: in anni di abuso il loro corpo smette di produrlo e diventano schiavi del doping stesso, non possono più smettere di prenderlo). 

Nel caso dell’Adderall, si comincia ad aver bisogno di assumerne sempre di più per riprodurre gli stessi effetti, si diventa sempre meno sensibili e si finisce per lo sviluppare una vera e propria dipendenza. 

Il rilascio esagerato di norepinefrina, dall’altra parte, porta a un costante stato di allerta che può sfociare in nevrosi e paranoie assortite. 

Come con tutte le sostanze, le droghe, i farmaci, gli effetti collaterali sono dose-dipendenti, cioè più ne prendi e più è probabile che ti facciano male e più serio sarà il danno, ma il problema è che rimanere “moderati” nell’uso è estremamente difficile. 

Col tempo e l’assuefazione, si arriva a sviluppare una sorta di incapacità di sentire piacere senza spararsi una dose e si comincia quindi ad assumere l’Adderall non solo per studiare, ma anche per uscire con gli amici, godersi una serata in discoteca, fare sesso, ecc. ecc. E gli effetti in alcuni casi rischiano di protrarsi anche dopo aver smesso di assumere la sostanza ed essersi liberati della dipendenza (sempre se ci si riesce). 

Tra gli altri effetti collaterali abbiamo: disfunzione erettile, ipertensione o ipotensione, tachicardia, dolori addominali, nausea, perdita dell’appetito con conseguente perdita di peso drastica, annebbiamento della vista, diarrea, insonnia, irritabilità, sbalzi d’umore, atteggiamenti compulsivi, paranoia, depressione… 

Comincia a non sembrarti più così accattivante, è vero o no? 

In definitiva, la questione è semplice e si riduce a questa serie di 6 secche domande e risposte: 

  • L’Adderall (e le anfetamine in genere) funzionano per aumentare la concentrazione, dare un senso di esaltazione e ridurre la percezione di sonno, fame e fatica? 
  • Aiutano nel trattamento del deficit dell’attenzione, della narcolessia, e di altre condizioni? Sì, sotto stretta supervisione di un medico specializzato, a bassi dosaggi e con un controllo costante. 
  • Migliorano le prestazioni nello studio? Sì e no, non migliorano direttamente memoria e comprensione, quantomeno in compiti complessi, ma consentono di reggere ritmi di lavoro più elevati e aumentano la concentrazione durante lo studio; 
  • Sono rischiose per la salute? Sì, moltissimo, specialmente con usi prolungati nel tempo e a dosaggi sempre maggiori dovuti alla progressiva assuefazione. Sono estremamente pericolosi sia a livello fisico che psicologico; 
  • Portano alla dipendenza? Sì, sia psicologica che fisica; 
  • Ne vale la pena per chi vuole migliorare nello studio? Assolutamente no. È un rischio eccessivo per il beneficio che apportano. 

Punto. Finisce così. L’Adderall, il Ritalin, il Modafinil e compagnia bella non sono degli alleati per lo studente, checchè ne dicano i fighetti che frequentano Harvard o qualche video esaltato su YouTube. 

Quello che è certo è che ancora la pillola magica di Limitless non l’ha inventata nessuno, e che la cosa più vicina che abbiamo è una droga potente e pericolosa, che per permetterti qualche ora di studio in più può chiedere in cambio più o meno tutta la tua vita.  

Per cui alla fine no, neanche stavolta sei riuscito a trovare una scappatoia, niente può ancora sostituire un buon metodo di studio e una sana dose di impegno, neanche la chimica. Almeno per il momento. 

Alessandro de Concini
Alessandro de Concini

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