MIT: Massachusetts Institute of Technology, a Cambridge, una delle più famose e prestigiose università del mondo, sicuramente la più importante quando si parla di tecnologia e innovazione.
96 premi Nobel sono usciti da lì, 8 medaglie Fields, 26 premi Turing e si possono elencare un miliardo di altri riconoscimenti ottenuti da alunni, professori e ricercatori.
Bene, tutto questo non arriva certo cazzeggiando e studiacchiando… Ci si impegna all’MIT, si studia sul serio, e la laurea non è un pezzo di carta qualsiasi che si regala a chiunque scaldi il banco per un po’.
8 anni fa Scott Young, un ragazzo canadese laureato in economia, blogger e scrittore, appassionato di apprendimento efficace, decide di sfidare l’MIT e imparare da solo, in un anno, l’intero curriculum di scienze informatiche, per mettere alla prova le tecniche di apprendimento efficace e di aumento della produttività, per dimostrare che imparare rapidamente si può e che la struttura dell’istruzione universitaria è superata e superabile.
Ce l’ha fatta? Scopriamolo insieme. In questo articolo, vi racconto della sfida di Scott Young contro l’MIT, di come l’ha condotta, delle tecniche che ha utilizzato, di cosa ne penso… e di come è andata a finire.

LA SFIDA
Ne approfitto per ringraziare Riccardo, che mi ha fatto scoprire la figura di Scott Young, ed è quindi responsabile per questo articolo, e che, tra l’altro, è stato il primissimo corsista a completare Sistema ADC, il mio videocorso sul metodo di studio. Veterano.
Prima di scendere nel dettaglio dell’ambiziosa sfida di Scott Young e dei metodi che ha impiegato, dobbiamo capire perché ha deciso di fare tutto questo. Le ragioni sono principalmente 3:
- La prima è di carattere personale: Scott Young vuol mettersi alla prova, testare la sua abilità e impadronirsi di una materia, l’informatica, che ama molto e che pensa potrà tornargli utile in futuro, ma non ha lacuna intenzione di tornare al college;
- La seconda è di carattere quasi provocatorio, critico. Entrano in gioco qui una serie di considerazioni su quanto costa l’istruzione di alto livello negli States, ma anche su quanto effettivamente serva una laurea nell’ottica di lavorare in certi campi. È una presa di posizione anche piuttosto interessante sul valore dell’apprendimento autonomo, dell’istruzione non convenzionale e della formazione personale continua.
- Infine, la terza ragione è di carattere mediatico: Scott è un imprenditore e vuole (giustamente) promuovere la sua attività con un’impresa che farà discutere.
Queste le motivazioni che spingono Scott a questa impresa titanica, passerà circa 60 ore alla settimana, poi ridotte a 35 nella seconda fase, a studiare, usando i materiali gratuiti messi a disposizione dall’MIT (tra cui video–registrazioni delle lezioni, materiali didattici vari, esempi di test di valutazione e così via).
Si autovaluterà, sostenendo delle simulazioni d’esame quanto più simili al reale contesto possibile, di cui si autocorreggerà i compiti, stabilendo come soglia di superamento della prova un punteggio superiore al 50%.
Inoltre, svolgerà gli stessi progetti e ricerche assegnati agli studenti, completando un numero di crediti paragonabile a quello di un curriculum regolare all’MIT.
Non parte completamente da zero, è un appassionato di programmazione e nel corso della sua laurea in economia ha frequentato e superato 4 esami di informatica. Ma è da un po’ che non ci mette le mani.
In ogni caso, si tratta di un programma davvero notevole: 52 settimane di full immersion per sfidare il sistema e vincere.
Come è finita la sfida? Bè, te lo svelerò a fine articolo, ora parliamo dell’approccio di Scott e delle tecniche che ha applicato.
ULTRALEARNING
Questo è il nome della filosofia di studio di Scott Young, da cui trae il nome anche il suo libro. È una strategia di apprendimento autogestita e aggressiva, semplice e brutale.

Queste sono le tecniche messe in atto da Scott nei 12 mesi della sua “MIT Challenge”, le descriverò e per ognuna farò un brevissimo commento, per dirti che cosa ne penso in prima persona e fare anche qualche piccola critica.
CREARE UN REGISTRO DEL TEMPO
Lui lo chiama “time log”, io lo chiamo Masterplan, ma il principio è sempre lo stesso: prendere il controllo del proprio tempo e della propria produttività segnandosi quanto dura ogni singola attività della nostra giornata e costruendo un piano accurato delle nostre settimane.
Fissare obiettivi chiari, fare un bel po’ di ricerca preliminare prima di mettersi a studiare effettivamente, per capire quali siano le strategie più efficaci nello specifico campo in cui vogliamo immergerci, pianificare, prepararci, ragionare sul progetto di apprendimento stesso.
Concentrarsi per creare abitudini che potenzino la nostra produttività.
E questo non potrebbe trovarmi più d’accordo, è uno dei principi fondamentali su cui baso il metodo di studio che io stesso insegno e ho visto studenti trasformati da questo approccio.
SFRUTTARE L’IMMERSIONE
Scott è una macchina da guerra: concentrazione assoluta, guerra totale alla distrazione e al multitasking, vita monacale e minimalismo organizzativo.
Il canadese è della stessa scuola di Cal Newport, di cui ti consiglio i libri, e di cui sono anche io, quella che pone la capacità di focalizzarsi come prerequisito di base per poter imparare in modo efficace ed efficiente.
Di strategie per aumentare la capacità di concentrazione ce ne sono tantissime, se ti interessa recupera questo mio articolo, che descriveva le più importanti e immediate da applicare!
AUMENTARE LA PRESSIONE
Scott Young crede nel valore della pressione, della paura (nella giusta dose) e dell’eccitazione. E allora che fa? Prima di tutto costruisce per sé stesso una sfida tanto ambiziosa da poter sembrare folle, e già questo è una pressione non da poco, ma decide anche di rendere il tutto pubblico, scrivendo articoli di blog e documentando con video l’intero processo.
In questo modo rimuove la possibilità di inventare scuse e concentra su di sé l’attenzione, creando di fatto nuovi motivi per rimanere costante e fedele agli impegni presi.
Su questo sono d’accordo, ma solo fino a un certo punto, nel senso che la strategia di pressione di Scott è un’arma a doppio taglio e certamente non è adatta a tutti.
In primis perché ci sono persone che non reggono ritmi del genere e il peso di avere gli occhi addosso. In secondo luogo, perché è una scelta che porta a conseguenze di stress notevoli sul lungo periodo, non è qualcosa che si può erigere ad approccio standard, bensì un’estremizzazione che può andare bene per sfide di questo tipo, non per lo studio quotidiano di chiunque.
PRENDERE APPUNTI SOTTO STEROIDI
Che è solo un modo di dire eh, mi raccomando, che io sappia Scott non si è mai iniettato qualche sostanza strana per diventare palestrato.
Quello che voglio dire è che Scott ha sfruttato al meglio le possibilità date dall’avere a disposizione le registrazioni delle lezioni: non soltanto aveva la possibilità di interrompere la lezione laddove avesse bisogno di più tempo, o per inframezzarla con esercizi in più, ma anche perché ha potuto risparmiare tempo ascoltando gran parte delle lezioni a velocità aumentata, accelerate di circa il 50%.
Anche qui, sono d’accordo, ma solo fino a un certo punto. Un po’ come con la lettura, la velocità di per sé non è una cosa negativa, quando è ben gestita, e sicuramente ci sono porzioni di lezioni che si possono seguire anche al doppio della velocità, o persino saltare senza problemi. Inoltre, credo molto nella comodità delle videolezioni, è uno dei motivi per i quali ho deciso di iniziare a produrre videocorsi in prima persona.
Ma ancora una volta non mi sembra una strategia generalizzabile, bisogna fare molta attenzione ad aumentare troppo la velocità, il rischio è un calo nella comprensione che poi si traduce in un allungamento dei tempi, invece che in una loro diminuzione. Quindi occhio.
APPLICARE LA TECNICA DI FEYNMAN
Dopo aver preso appunti, Young applica sulle parti più complesse la famosissima tecnica di Feynman: in sostanza prende l’argomento, ci ragiona, si mette nei panni di un insegnante che deve spiegarlo a qualcuno ignorante in materia, un bambino addirittura, e riscrive il tutto, aggiungendo esempi, spiegazioni, metafore, con un linguaggio il più semplice e chiaro possibile.
Nel fare questo è costretto a rielaborare, ripensare, approfondire, mettere ordine nella sua mente, e chiarire dunque le parti più complesse.
Come dico ogni volta che qualcuno mi parla della tecnica di Feynman, io trovo che sia forse la singola metodologia di comprensione e rielaborazione più potente ed efficace. Ma non la più efficiente, quel premio va assegnato agli schemi, a mio avviso.
La tecnica di Feynman è lenta, purtroppo, ed ecco quindi che applicarla sull’intero programma risulta praticamente impossibile. E infatti nei materiali che si trovano sul sito di Scott Young le parti descritte con questo approccio sono in realtà una piccola percentuale dell’intero programma che ha studiato.

SEGUIRE IL CICLO DEL FEEDBACK
Il testing e il richiamo attivo sono alla base del metodo di Scott Young, e mi sento di sottoscrivere questo approccio in pieno.
Esercizio esercizio esercizio, dando la precedenza sempre agli argomenti più complessi, attaccando senza pietà i nostri punti deboli e continuando a esercitarsi finché non li abbiamo superati.
Importante anche il concetto di “overlearning”, ovvero esercitarsi anche oltre al punto in cui, semplicemente, siamo capaci di fare qualcosa o ci siamo impadroniti delle informazioni. Continuare ad esercitarsi per diventare più rapidi, fluidi, per approfondire l’apprendimento, specialmente per quanto riguarda i passaggi fondamentali. Le basi non si esercitano mai abbastanza, come sa chiunque abbia mai fatto arti marziali.
Scott sottolinea inoltre la necessità di avere un feedback diretto e costante, senza filtri, di poter immediatamente verificare cosa abbiamo sbagliato e correggerlo. E anche qui, mi trova pienamente concorde.
ANDARE DRITTI AL PUNTO
Connesso al meccanismo del testing e del feedback c’è anche quella che Young chiama “directness”, l’idea di andare dritti verso quello che ci interessa, esercitarsi direttamente su ciò che vogliamo fare, non divagare, non perdersi in esercizi inutili. Se vuoi imparare a correre, vai a correre. Una cosa così.
Nel caso di Scott questo si è concretizzato nel concentrare tutti i suoi sforzi su quelle abilità e competenze che gli permettessero di passare i test e procedere con la sua sfida.
Questo modo di affrontare lo studio è senza dubbio efficace, ma va preso “cum grano salis”, per dirlo alla latina e farci fighi, cioè con un po’ di buon senso: occhio a non malinterpretare questa idea e finire a studiare solo le domande più probabili o a snobbare la conoscenza vera e profonda in favore di un’infarinatura superficiale che vi porta a raggiungere il famoso livello “va là che me la cavo”.
Andare dritti al punto significa simulare il contesto in cui saremo valutati, dare priorità alle attività dirette, ma non significa sacrificare la qualità in nome del passare a tutti i costi con meno sforzo possibile!
GIOCARE E SPERIMENTARE NELLO STUDIO
Questo è il principio che Scott sfrutta per rendere anche più sopportabile uno studio tanto serrato: cerca sempre di divertirsi con ciò che impara, di trovare modi alternativi di concretizzarlo, di essere giocoso nel suo approccio, di farsi piacere le materie.
RIPETIZIONI PROGRAMMATE
Questo è l’ultimo principio applicato da Scott, ma l’ho volutamente lasciato per ultimo perché è il più controverso della sua sfida.
Chiunque abbia mai affrontato in modo serio il tema del metodo di studio e dell’apprendimento efficace sa che esistono due grandi forze, opposte tra loro: il cramming e lo spacing. Il cramming è l’accumulo in full immersion a ridosso degli esami, più spinto verso la memorizzazione che verso la comprensione profonda, mentre lo spacing è l’approccio distribuito, con ripetizioni spalmate nel tempo.
Lo spacing è l’unico approccio che garantisca reale efficacia a lungo termine e qualità nello studio, ma il cramming ha dei vantaggi in termini di voto a breve termine.
Ora, Scott sa tutto questo, ma sa anche che il principio dello spacing fa a pugni con l’idea di comprimere 4 anni di università in uno. La soluzione che trova è quella di seguire tre o quattro corsi diversi allo stesso tempo, portandoli avanti in parallelo e, a detta sua, migliorando l’implementazione delle ripetizioni programmate e concentrandosi comunque sulla comprensione profonda.
E qui… bè… è un po’ un arrampicarsi sugli specchi se chiedete a me, e lo stesso Scott in realtà concorda. La verità è che un approccio così estremo all’apprendimento non si sposa con il ricordo a lungo termine e l’interiorizzazione.
COM’È ANDATATA FINIRE LA SFIDA
Ecco, ti sei fatto un’idea quindi di perché e come Scott Young abbia portato avanti la sua sfida, di su quali principi si fondi il suo “ultralearning” e di che cosa ne pensi di ciascuno di essi…
Ma rimane ancora una domanda: alla fine ce l’ha fatta oppure no? È riuscito a imparare il programma dell’intero corso di laurea in informatica dell’MIT in un anno?
Bè, in qualche modo sì, nel senso che su 33 simulazioni d’esame che ha sostenuto, ne ha passate con più del 50% di risposte corrette 33. Tutte. Ed è riuscito a terminare tutte le esercitazioni, i progetti e le ricerche connesse con i vari corsi.
Riprendendo un po’ le ragioni iniziali che descrivevamo, di sicuro è riuscito ad impadronirsi dell’informatica a un livello notevole, ha completato un percorso paragonabile a quello di una laurea all’MIT e ha pure ottenuto di far parlare di sé, visto che è finito pure in un TedTalk.
Missione compiuta da tutti i punti di vista, quindi. Più o meno…
CRITICITÀ
Sì, perché ci sono anche diverse critiche all’impresa di Scott, oltre a quelle che ho già sollevato io su alcuni punti del suo metodo. Partiamo con le critiche che riconosce lui stesso:
- La prima, la più importante, è senza dubbio quella di cui parlavamo quando ho nominato il principio dello spacing: 12 mesi probabilmente non sono sufficienti a consolidare un programma tanto vasto e personalmente ho parecchi dubbi che lui abbia trattenuto molto di quello che a studiato sul lungo periodo.
- La seconda criticità che individua lo stesso Scott è l’assenza di confronto con altri studenti e la mancanza di partecipazione all’ambiente e alla vita universitaria, che non ha solo conseguenze “sociali”, per così dire, ma anche sul passaggio di informazioni. Di fatto, è una importante fonte di feedback che è stata completamente eliminata.
- Infine, per Scott, un terzo problema è la mancanza di sufficiente “overlearning” di certi concetti chiave di matematica, che rischiano di far scricchiolare la sua competenza negli argomenti più complessi.
Non mancano poi le critiche, un po’ velenose a dire il vero, anche di altri, la prima delle quali non poteva che essere che la classica:
- “È solo una strategia di marketing, lo fa solo per promuovere i suoi corsi”. Lasciatemelo dire, questa cosa ha stufato, non è che se uno ha anche dei fini commerciali allora qualunque cosa faccia è per forza fraudolenta e inutile, io vendo corsi ma questo non mi impedisce di creare contenuti, prodotti e servizi di qualità e di evitare di imbrogliare la gente. Qualunque divulgatore promuove i suoi libri, qualunque pizzeria cerca di vendere le sue pizze. Non c’è niente di male e soprattutto, tornando a Scott, non ha alcuna attinenza con la validità o meno della sua sfida.
- C’è chi puntualizza che, in effetti, non ha davvero quadruplicato la velocità, l’ha soltanto raddoppiata, perché un anno di MIT non dura 52 settimane bensì 30 e in più ci sono le vacanze e bla bla. Altra critica piuttosto fine a sé stessa, raddoppiare la velocità è comunque sorprendente.
- C’è chi fa presente che autovalutare i propri esami e le proprie esercitazioni introduca un bias, ma devo dire che mi è sembrato abbastanza oggettivo e inoltre le materie che ha studiato portano a esercizi e risultati dai parametri chiari, non lo vedo come un grosso problema quindi.
- Qualche studente dell’MIT invece, giustamente, fa notare come quello che ha realizzato Scott Young non sia davvero paragonabile a un’istruzione universitaria di alto livello, non solo per le questioni sull’apprendimento a lungo termine di cui già abbiamo detto, ma anche perché gli mancano alcune parti del curriculum dell’MIT stesso, in particolare laboratori, confronti ed esercitazioni di gruppo, ritenute fondamentali.
CONCLUSIONI – COSA NE PENSO
Alla fine di tutto, bilancio alla mano, io che cosa ne penso?
Bè, penso che la sfida di Scott Young sia un esperimento interessante, utile, che ci insegna quanto distante dal senso comune sia davvero il limite della capacità umana e quanto la produttività possa essere ottimizzata, anche nel campo dell’apprendimento.
Io adoro le sfide di questo tipo e mi piacerebbe in futuro anche provare a farne qualcuna, magari su scala più piccola.
Ma non credo, allo stesso tempo, che vada preso a modello.
Il suo metodo di studio è basato su principi reali ed efficaci, ma spesso portati all’estremo fino a diventare pericolosi, inoltre, in un certo senso è anche un metodo molto elementare, che poteva essere senza dubbio raffinato e migliorato, e che non offre grandi risultati sulla lunga distanza.
E poi alla lunga un tale carico di lavoro, ammesso che si riesca a sopportarlo, porterà inevitabilmente a uno stress enorme e dunque non potrà mai diventare la normalità.
E tu, che cosa ne pensi?