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3 step per insegnare qualsiasi cosa a chiunque

Quando ci sediamo col nostro bel manuale davanti e dobbiamo studiare, imparare, confrontarci con nuove informazioni, siamo da soli con il testo e tutto dipende da noi.

Non che sia facile eh, intendiamoci, e il mio blog così come i miei corsi sono dedicati proprio a insegnare i giusti metodi per imparare in modo efficace ma quando non dobbiamo più imparare e indossiamo invece i panni dell’insegnante, lì le cose cambiano. Cambiano parecchio.

Si aggiunge uno strato in più di complessità, quello della trasmissione delle informazioni, dell’essere sicuri che chi ci ascolta possa davvero innescare quella scintilla che scatena l’esplosione del processo di apprendimento.

Insegnare qualcosa a qualcuno è un po’ un’arte e un po’ una scienza, ci sono delle regole di base e poi ognuno deve trovare il suo stile, il suo modello.

Sono ormai anni che ho fatto dell’insegnamento il mio lavoro. Ho insegnato uno a uno, ho insegnato davanti a classi e gruppi, ho insegnato davanti a una telecamera per decine di migliaia di persone.

Oggi, in questo articolo, ti voglio raccontare i tre step necessari per insegnare qualsiasi cosa… a chiunque. Ho fatto anche un articolo specifico per insegnare il metodo di studio ai tuoi alunni, prova a darci un’occhiata!

Quello che faremo è semplice: affronteremo i tre step fondamentali per l’insegnamento: strutturare, gestire, comunicare, e per ognuno di essi ti spiegherò che cosa ti serve, a cosa dovrai prestare attenzione e cosa devi fare nello specifico.

Prima di iniziare, prova a recuperare nella tua mente le tue esperienze di ascoltatore e studente o studentessa. Non per forza a scuola o all’università eh, anche nella vita di tutti i giorni, a conferenze o convegni, sul lavoro. Individua due prototipi di insegnanti: il miglior insegnante che tu abbia mai conosciuto e il peggiore in assoluto.

Ecco, usali come guida mentre leggi questo articolo e ti accorgerai che è estremamente probabile che il miglior insegnante che tu abbia mai avuto seguisse i principi che ti spiegherò mentre il peggiore, al contrario, li ignorasse brutalmente.

E poi alla fine ti chiederò di raccontarmi se ci ho preso. Cominciamo.

STRUTTURARE

Il primo passo per poter insegnare davvero qualcosa è strutturare il proprio intervento, la propria lezione in senso lato. E qui devo rispondere alla domanda che aleggia sempre nell’aria: “ma è davvero necessario avere una struttura così precisa, non basta andare a braccio ed essere competenti?”

Ora, la competenza è la base da cui partire sempre, su questo non ci piove, ma se bastasse essere dei veri esperti per essere anche dei grandi insegnanti, il mondo scolastico, universitario e della formazione sarebbero molto, molto, molto diversi. Fidati di me.

Insegnare e conoscere sono abilità correlate, ma non sono la stessa cosa.

E sì, esistono persone dalla competenza talmente elevata e dal talento così sconfinato che possono insegnare del tutto a braccio, semplicemente spalancando le porte della loro mente e lasciando fluire tutta la loro conoscenza su chi li ascolta.

Ma guardiamo in faccia la realtà: sono l’eccezione che conferma la regola.

Per questo il primo passo per poter insegnare qualcosa a qualcuno è sempre avere un piano, una struttura, una strategia. E non è per forza necessario che sia la struttura perfetta in assoluto, col tempo si migliora anche in questo. Ma avere un piano, anche un piano imperfetto, è sempre e comunque meglio che non averlo.

Chiedetelo agli universitari che si scontrano ogni giorno con voli pindarici e lezioni sconclusionate e prive di struttura.

È un po’ come in un combattimento, in una battaglia: meglio avere un piano ed eseguirlo piuttosto che trovarsi a improvvisare davanti al nemico armato fino ai denti.

Per strutturare quindi la tua lezione o intervento hai bisogno di 5 cose:

  • Una scaletta precisa, per parole chiave, di ciò che dovrai dire e in che ordine lo dirai. Non serve scriversi le frasi o cercare di imparare a memoria il discorso, è controproducente e rischia di esserti d’impaccio. Molto meglio conoscere a memoria solo i passaggi chiave, i punti intorno ai quali si organizzerà il tuo insegnamento.
  • materiali didattici in senso lato, cioè tutti quegli strumenti sia concettuali che pratici, concreti, che sfrutterai durante la lezione. Slide, certo, se servono, ma anche link, collegamenti, video da mostrare e persino gli esempi e le metafore che farai possono essere considerati come veri e propri materiali didattici da preparare in anticipo.
  • Ti serve uno o più ganci di interattività, cioè ti serve un’idea precisa di come stimolerai la partecipazione attiva di chi ti ascolta. Questo è fondamentale e spesso dimenticato. L’insegnamento non è monodirezionale, non è un flusso che, semplicemente, parte da te e finisce nella mente di chi ascolta: deve essere un dialogo, uno scambio, una collaborazione, una coreografia, per dirla in modo poetico. Insomma, quando inizi a parlare devi già sapere che ganci sfruttare per far partecipare il pubblico e stimolarlo.
  • Ti serve un identikit del tuo ascoltatore: non puoi essere davvero efficace se non hai idea del contesto e della persona che ti sta ascoltando. Mettiti nei loro panni e domandati di che cosa abbiano bisogno, che cosa si aspettino, che cosa cerchino, che cosa potrebbe allontanarli dalla spiegazione. Non è l’allievo che si deve piegare e adattare al maestro, al contrario: è il bravo maestro che deve piegarsi e adattarsi all’allievo. Ingoia il tuo orgoglio e parti sempre dal presupposto che se chi ti ascolta non capisce la responsabilità è tua che non hai comunicato nel modo corretto in quella situazione. Sempre. Solo così potrai migliorare.
  • Infine, ti serve una visione chiara del ruolo e della posizione di quella specifica lezione nel percorso più ampio di insegnamento. È una lezione unica, one shot? È la prima di una serie? È la seconda? Si collega ad altre lezioni precedenti? Questo ti aiuterà a capire il livello di chi ti ascolta ma anche a darti un arsenale di potenziali rimandi, riferimenti e concetti che puoi tralasciare o dare per scontati.

Una volta che hai accumulato questi 5 strumenti: la scaletta, i materiali, i ganci di interattività, l’identikit e il ruolo/posizione della lezione nel percorso complessivo, sei pronto per il secondo step.

GESTIRE

E qui ci si occupa del fluire della lezione stessa.

La prima cosa da fare è esplicitare a chi ti ascolta tutto quello che hai preparato allo step uno: la scaletta, vale a dire i punti che affronterai e l’ordine in cui lo farai, i materiali che hai preparato, il modo in cui coinvolgerai l’ascoltatore e il ruolo e posizione della lezione, magari anche facendo riferimento proprio alle lezioni precedenti per aiutare il pubblico a ricostruire e recuperare nella propria memoria gli elementi che arrivano dalle lezioni già seguite.

L’unico punto che può rimanere implicito è quello dell’identikit, ma puoi cercare comunque qualche riferimento culturale specifico, l’umorismo, la condivisione di elementi personali per creare contatto. Allontanati dall’idea del professore algido e distante che con aria severa interpella dall’alto i suoi pupilli.

insegnare qualsiasi cosa a chiunque

Quella cosa lì è morta, non ha mai funzionato: non funziona con gli adulti e funziona ancora meno con i ragazzi, che oggigiorno ti mangiano vivo se ti comporti così.

Bene, questa fase introduttiva in cui metti le carte sul tavolo ha tre funzioni:

  • Facilita l’attenzione e la produzione degli appunti;
  • Mostra la tua competenza e organizzazione e crea quindi un senso di rispetto e stima nei tuoi confronti;
  • Prepara gli strumenti cognitivi e informativi per processare al meglio le nuove informazioni. È un concetto simile a quello che descrivevo in questo articolo sul metodo KWL, vai a recuperartelo quando abbiamo finito qui.

Altro elemento fondamentale nella gestione della lezione è controllare il flusso dell’attenzione. No, non sei la persona più interessante del mondo e no, il tuo argomento non è abbastanza esaltante da mantenere la concentrazione alta per il puro interesse. Non funziona così. Vai a una qualsiasi conferenza, convegno, lezione, corso e guardati intorno. Sono tutti semi- addormentati e/o col cellulare in mano. Sempre.

Sta a te controllare l’attenzione, attraverso gli agganci partecipativi di cui dicevamo prima, ovviamente, ma anche controllando il flusso del tuo insegnamento. I momenti più densi di informazioni devono alternarsi a momenti più leggeri e distesi, puoi rompere lo schema con una battuta o una parolaccia o presentando un nuovo stimolo visivo, lasciando anche delle brevi pause, interrompendoti.

Parti sempre dal presupposto che sei sempre in lotta con l’attenzione ma non puoi permetterti di forzarla troppo o rischi di spezzare la magia. È un gioco di bilanciamento e qui, devo essere onesto, la sensibilità e l’esperienza la fanno da padrone.

Osserva chi vi ascolta e adattati ai feedback che ti invia, non imporre il tuo stile ma adattato ai segnali di ritorno che ricevi.

Inserisci sempre, all’interno della lezione o spiegazione, un momento di testing e feedback, in cui invertire i ruoli e lasciare che sia l’ascoltatore a spiegarti che cosa ha capito, a mettersi alla prova nel recuperare le informazioni che gli hai appena passato e provare a restituirtele.

Questo elemento è fondamentale per assicurarsi che ci sia stata una vera comprensione ed individuare incertezze e lacune, e al tempo stesso aiutare la memoria dell’allievo, alunno, spettatore a consolidare il ricordo a lungo termine. Può prendere anche la forma di un testing pratico, di esercizi o simulazioni, l’importante è che, in quel momento, la palla passi di mano e siano loro a dover utilizzare quelle conoscenze e competenze appena trasmesse.

Facciamo una prova: ripetimi quello che hai capito finora, spiegamelo… Io aspetto. Fallo sul serio, ad alta voce. Sì, ti sto autorizzando a parlare da sola o da solo di fronte a un articolo su internet. Quando ti ricapita? Prego… 

Bene, e poi, l’ultimo elemento di gestione: segui la maledetta scaletta che hai preparato.

Può sembrare banale, vero o no? Ma c’è una differenza enorme tra pensare una struttura e poi seguire quella struttura. Il tuo lavoro è rimanere flessibile nel “come” insegnate, ma inflessibile nel “cosa” e nel “in che ordine” lo insegni. Se molli la scaletta, inizierai a divagare, a perderti, ad anticipate un elemento, tutto il castello crolla.

La spontaneità può andare bene per una chiacchierata fra amici, non per l’insegnamento vero e proprio. Per capire bene la differenza, è come comparare video montati, strutturati, pensati e scritti, alle ADC Live in cui parliamo e rispondo alle vostre domande su YouTube.

Il primo è un momento didattico, il secondo è un rilassato momento di scambio e confronto. Entrambe le cose hanno una loro validità, ma è bene che rimangano separate.

COMUNICARE

E, dopo la fase preparatoria e quella di gestione, eccoci arrivati al terzo e ultimo step, la comunicazione vera e propria e cioè il come ti esprimi, come gestisci il messaggio che vuoi comunicare. Qui si apre un mondo, ho selezionato un bell’elenco di consigli che sono sicuro possano funzionare:

  • Il movimento. Se gesticolare e muoversi troppo può essere fastidioso (e ammetto che ogni tanto io ci casco), gesticolare e muoversi troppo poco è sempre un disastro. Il movimento aiuta a mantenere alta l’attenzione e favorisce la partecipazione e il coinvolgimento. Ecco un articolo su come imparare qualsiasi movimento.
  • L’uso di metafore e similitudini. La metafora è uno strumento di pensiero e di conoscenza, un modo di accostare elementi distanti tra loro in un guizzo cognitivo che scatena comprensione e creatività. Coltiva le tue metafore e le tue similitudini, provale, scarta quelle che non funzionano e tieniti strette quelle che funzionano, usale ogni volta che puoi. La metafora è il ponte che connette la tua voce alla mente di chi ascolta.
  • Esempi, esempi, esempi. Gli esempi non sono mai troppi. E più sono ricchi, vari, pratici, concreti e vicini alla vita di chi ti ascolta, meglio funzionano.
  • Sfrutta il principio del dual coding, se possibile, e cioè accompagna all’aspetto verbale quello grafico: non tanto slide pulciose in power point con elenchi puntati ma immagini, schemi, diagrammi, disegni, foto, video.
  • Scegli un lessico preciso ma semplice: i paroloni si usano se c’è bisogno di usarli, e cioè se sono elementi tecnici insostituibili. Se l’acidodesosssiribonucleico si chiama così non è che io posso chiamarlo “brodo”. Userò il nome preciso e tecnico. Ma in tutti gli altri casi: semplicità è la parola d’ordine.
  • Lo stesso vale per la sintassi. Ammazza per favore le frasi pluriarticolate con 7 livelli di subordinazione e quarantasette nessi causali. Ti prego. Semplicità, sintesi, pulizia sintattica. Se a metà frase mi devo fermare per chiedermi “ma dove sta andando a parare?” qualcosa non va.
  • Non avere timore di emozionarti e mostrare che sei emozionato. Non c’è niente che crei legame tra chi insegna e chi impara che un’emozione condivisa, l’esaltazione per qualcosa di figo, la commozione per qualcosa di triste o di profondo, la rabbia per qualcosa di terribile e ingiusto. Insegnare vuol dire anche mostrare a tutti che rapporto hai a livello personale con quello che stai dicendo. Se sei freddo e distaccato sarai inefficace. Sempre e comunque. Punto.
  • Non avere paura di ripetere. Il tuo lavoro è assicurarti che il messaggio venga recapitato, ancora una volta ammazza il tuo stupido ego e ricordati che il tuo è un ruolo di servizio, non di comando. Servi la persona che hai di fronte e sei a sua disposizione se non ha capito. Anche se è la terza volta che ripeti la stessa cosa, sì.

Ce ne sarebbero altri settemila di consigli da dare, anche più tecnici come quelli sulla postura, la prossemica, l’espressività, il tono della voce, i silenzi…

Comunicare in modo efficace, soprattutto ad una classe che magari non ha voglia di star lì ad ascoltarci, è una grandissima sfida, non facile da vincere. Ho creato insieme a Rick DuFer un corso appositamente per imparare a parlare e comunicare nel modo migliore: Logonauti. Dacci un’occhiata se ti interessa crescere anche in questo senso.

Vorrei che a questo punto tu ripensassi a quei due insegnanti che hai selezionato all’inizio, il migliore e il peggiore, e punto per punto li confrontassi, per poi farmi sapere se con la mia introduzione ci ho preso oppure no.

E poi raccontatemi le vostre esperienze di insegnanti e di alunni, i trucchi che avete imparato, i consigli che dareste e le critiche che riservereste agli insegnanti cani che vi fanno odiare la materia.

Tutto qui sotto nei commenti, vi aspetto al varco.

Alessandro de Concini
Alessandro de Concini

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